Dinamiche dei gruppi 2.0

gruppo di persone su una terrazza. psicologia dinamiche di gruppo

Dinamiche dei gruppi 2.0

Un fenomeno che è in costante crescita, e cambiamento insieme, è l’interazione tra persone. Negli ultimi 20 anni abbiamo assistito all’avvento dei media digitali e con essi dei modi digitali di comunicare.

Parole che nel 1995 (l’altro ieri) non volevano dire nulla (hashtag, Facebook, tweet, Whatsapp,etc) oggi hanno una pregnanza e un significato determinante nel nostro vivere le giornate.

Assisto come se fossi esterno a questo processo e in realtà devo fare uno sforzo per chiamarmene fuori e osservarlo, difatti ci sono dentro eccome.
La spinta che mi fa venire voglia di guardarlo dall’esterno è il terrore. Il terrore che i processi decisionali, che le interazioni di tutti i tipi (flirt, corteggiamento, amicizia, per arrivare sino al gruppo) passino non più dal vis-a-vis ma solo da uno schermo di cellulare o di computer e da una app. Fin qui la considerazione è abbastanza banale. Non è mia intenzione demonizzare il mezzo telefono piuttosto che computer, ne sono un fruitore e cerco di vivere il mio tempo, le vignette dove si allude non velatamente al “come si stava meglio quando c’erano i telefoni a disco” non fanno presa su di me, e anzi mi irritano.

Mi sono trovato a riflettere su questo argomento perché più di una volta mi è capitato di essere coinvolto in processi più o meno decisionali attraverso, per esempio, un gruppo whatsapp, e ci sono stato molto scomodo. La cosa che mi preoccupa è che vedo dilagare questo modo di interagire e immagino che le mie figlie conosceranno (quasi) solo questo.
Immaginiamo una minoranza che lancia delle iniziative (nel bene e nel male), molte delle persone nel gruppo non risponderanno, magari perché prese da altre cose, non interessate o semplicemente perché non hanno tempo di guardare il telefono in quel momento. Dopo poco, i tempi tecnologici sono brevi, il passaggio all’azione; non importa se tutti sono d’accordo o no, sembra dai messaggi che ci sia una maggioranza che vuole così.
Tutto questo è contrapposto ad una discussione di gruppo che richiede una presenza fisica per esercitare il diritto alla propria opinione; certo, accidenti, mi tocca andare nel tal posto alla tal ora, ma forse l’argomento merita più di uno sguardo frettoloso e di risposte di tre parole, magari in gioco c’è una posta importante.

Trovo che le dinamiche di gruppo e di branco (come amano i giornali chiamare il gruppo quando diventa cattivo) siano esasperate e velocizzate dal mezzo tecnologico, se per esempio in un fenomeno come il bullismo (che esiste a tutte le età con modalità diverse) fa leva sulla deumanizzazione della vittima, immaginiamo come possa essere facile deumanizzare qualcuno se nemmeno è fisicamente presente. Quello che voglio dire è che intravedo pericoli elevati, per me adulto (relativamente) e per bambini e adolescenti (altissimo). E sono preoccupato. Come sempre uso questo mio spazio per proporre una riflessione ad alta voce che desidero condividere con chi la vuole leggere. Una sorta di suggestione , e mi fa sentire meglio dire queste cose pubblicamente.
Mi sento stritolato quando assisto a fenomeni come i gruppi whatsapp di 10 e più persone, per esempio quello tra i genitori della scuola di mia figlia di 5 anni. Mi sono cancellato dal gruppo, troppe notifiche e troppi argomenti non interessanti, ciarpame. Come esprimo la mia opinione? Come vengo a conoscenza delle cose di cui si parla lì, alcune delle quali importanti forse? É come se mi sentissi obbligato, forzato a esserci. E allo stesso tempo sento una forza contraria, mi oppongo in ogni modo a assistere a dibattiti sul cellulare, dove manca tutto il meta: espressioni, tono, tra le righe… le emoticon non bastano e non credo che siamo sufficientemente alfabetizzati digitalmente da poter sostituire la comunicazione di persona con quella digitale. Morale, mi sono relegato in un ruolo di quasi impotenza, molto succede in quel gruppo a cui io rifiuto di partecipare, ma per principio non voglio avallare questo modo di prendere decisioni.

Lavorando molto con stranieri e americani in particolare, ho avuto modo di imparare che, dal momento che spesso hanno 2-3 lavori e quindi poco tempo per conoscere altre persone e socializzare, uno dei modi più in voga in questo momento per uscire con qualcuno è usare un sito di dating come può essere Meetic in Italia. Ho anche scoperto questa app per smartphone che si chiama Tinder. Carico delle mie foto, dichiaro cosa sto cercando e la app mi dice chi c’è che mi potrebbe interessare nell’area geografica in cui sono in quel momento. E’ una app dove domanda e offerta si incontrano per così dire, è una app dove ci si cerca per fare sesso, bypassando tutti i passaggi dell’uscire, scegliere un locale, guardarsi, interessarsi, e poi, eventualmente, provarci. Non mi sento di giudicarla, credo che sia una delle poche app che dà all’utente quello che chiede, fine.
Insisto col dire che non sto demonizzando la app o il telefono, dico solo che la tecnologia accorcia le distanze, ma per farlo toglie anche le tappe, ovviamente. Credo che si possa paragonare col viaggio in aereo o in macchina, in macchina posso fare tappe, decidere di fermarmi da qualche parte, allungare il viaggio, deviare in base al mio stato d’animo. In aereo casomai ci metto 3 ore e basta, ma il mio potere decisionale è limitato alla scelta iniziale, senza ripensamenti. Non è solo una visione romantica per cui “la vera meta è il viaggio”, forse in questo caso potremmo essere d’accordo sul fatto che la vera meta sia lo scegliere, le possibilità che mi do se sono in contatto con me stesso e non solo con un impulso bulimico da soddisfare (qui bulimico è inteso come soddisfazione immediata e non rimandabile di qualcosa). Nella metafora l’aereo è la scelta che taglia, che non prevede ripensamenti.
Immaginate di dire qualcosa su whatsapp scrivendolo o attraverso una nota vocale. Resta e resterà, senza alcuna via di ritorno. Il problema è che questo tipo di tecnologia è unidirezionale. Non comporta un inter-azione, ma due azioni parallele che semmai si incontrano. La comunicazione non virtuale è uno scambio, un mettere ognuno la sua parte di responsabilità, quella virtuale no. A me non piace, non mi piace l’unilateralità, per cui dico la mia in un vuoto e te rispondi la tua. Sono recipiente e non lo sono allo stesso tempo. Il gruppo è per sua natura mutevole e soggetto a leadership e gregarietà, su whatsapp diventa branco in un tocco di schermo. Non solo ma la tecnologia in questo caso rende pigri, pigri perché non mi devo scomodare a formulare un mio pensiero in maniera assertiva, pigri perché posso permettermi di non osservare l’altro, pigri perché posso starmene ovunque sono nel mio guscio. Una sorta di alienazione un po’ scelta, un po’ subita. Ma è davvero questo quello che vogliamo per le nostre relazioni e quelle dei nostri figli? Veramente poco rischio e una presunta sicurezza (al prezzo di un isolamento e di una superficialità simili a un paesaggio post nucleare)?

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