FOLLIA

strada di campagna. Articolo sulla pazzia, una strada che porta al distacco dal diverso

FOLLIA

E’ un po’ che sento come disturbante un qualcosa che unisce diversi fenomeni pubblici, il bisogno esasperato di creare un “noi” contro un “loro”.

Mi preoccupa perché è un fenomeno che mi stupisce, anche se esiste dalla notte dei tempi, e mi impaurisce, perché difficilmente controllabile.

La prima volta che ho avuto questa spiacevole sensazione di non poter fare nulla di fronte a tanta violenza è stato quando ho visto il fenomeno delle sentinelle in piedi, all’inizio non capivo cosa facessero, poi ho scoperto che sono attivisti ultraconservatori che si battono per preservare dei valori. Ho iniziato a pensare che c’è qualcosa che non va, che il dover urlare sempre ci sta portando a diventare tutti un po’ più pazzi. Quello che ho intenzione di scrivere è cosa io credo sia oggi la pazzia al di là delle etichette del manuale statistico diagnostico (DSM-V).

Il primo grande livello è politico, nel senso che non c’è nella politica l’intenzione di promuovere il benessere (se non quello economico, e di pochi) della popolazione. Basti vedere in italia lo stato in cui versano scuola e l’educazione in generale. Su questo non ho molto da dire perché rimarrei su un piano ideologico che non trovo interessante.Gli altri livelli vanno verso il particolare, e si inseriscono in questo contesto socioculturale. C’è una confusione sulle emozioni che a sua volta crea un gran fumo, dove è difficile orientarsi. Parliamo di stress e di ansia, che sono dei costrutti che, a mio modo di vedere, non esistono veramente, esiste cosa faccio con la pressione (lavorativa, familiare, ecc).

E lì il “sono stressato” “stanco” “ho l’ansia” diventano degli alibi per non prenderci la responsabilità di quello che facciamo o diciamo. Tra i temi del momento c’è il femminicidio, non amo molto la parola, creata ed abusata dai media per fare notizia, il punto credo sia portare l’attenzione sulla violenza di genere, e sensibilizzare il pubblico sulla imparità che c’è tra i sessi, da un punto di vista fisico e di agiti. Il femminicidio è figlio di una non tolleranza alla frustrazione di un no, di un rifiuto. Tu, donna, mi rifiuti? Ti innamori di qualcuno o semplicemente con me non funziona? Bene io ti getto l’acido in faccia, ti accoltello, ti sparo, ti ammazzo. Sembra quasi che alla fine ci sia un pappapero.

Non si tratta di ironia su una cosa agghiacciante, voglio sottolineare come ci sia dietro un atteggiamento infantile di rivalsa alla frustrazione. Qui un primo nodo importante, a cosa serve l’educazione affettiva ai nostri figli (inesistente in una scuola spolpata e precaria)? Esattamente a creare fattori di protezione (cioè prevenire) questo tipo di fenomeno, l’agire in modo violento e unidirezionale di fronte alla frustrazione.

Quando ero piccolo, negli anni ’80, c’erano gli ultras delle squadre di calcio che facevano casino nelle città intorno agli stadi. Sembrava un fenomeno limitato, erano “i cattivi”. Oggi tutti vogliono asfaltare tutti, tutti vogliono commuovere il web, tutti vogliono avere una storia che fa il giro, tutti vogliono essere virali, è la sagra dell’eccesso, di chi urla più forte. Stiamo iniziando, non da oggi, a vedere gli effetti della alfabetizzazione digitale.

Come già scritto in un altro mio articolo, sono un fruitore della tecnologia e di quello che viene insieme, non la demonizzo. Noto che i social amplificano a non finire questo fenomeno del noi/loroStato di alienazione mentale determinato dall’abbandono di ogni criterio di giudizio. I gay vs. gli etero, maschi vs. femmine, cattolici vs. immorali. , ecc. E questo a sua volta crea l’humus per cose molto peggiori.

Tengo a specificare che scrivo a titolo personale e non ho evidenze statistiche o scientifiche di quanto sostengo. Di recente è avvenuta una strage pazzesca in un locale gay di Orlando, in Florida. Al di là della considerazione sull’accesso alle armi, che lascio a chi legge, mi sono domandato come sia possibile arrivare ad un gesto così efferato. La mia risposta è che il nostro omicida era vicino ad un bordo di pericolosità, e che l’ambiente abbia fatto il resto. Quanto è facile mettere “je suis” qualcosa sulla propria bacheca? Quanto è facile mettere la bandiera arcobaleno sul proprio profilo? Un clic.

L’empatia, il sentire quello che stiamo sentendo sono ben più faticosi e difficili e implicano una scelta forte e una presa di responsabilità. Ma se tutto è a portata di clic è come se dalla pancia e dal cuore (dove mi piace immaginare risiedano le emozioni), tutto passasse all’articolazione del polso e della mano che muove il mouse e compie azioni nel mondo virtuale. E la mia emozione cambierà livello di complessità, inevitabilmente. Poi accade che io mi trovi nel mondo reale e debba gestire emozioni come la rabbia per il capo, per tasse, l’amore per una persona, la paura. E che mi senta completamente sopraffatto perché il dito del mouse non basta, non può gestire quel carico.

E allora mi viene lo stress e devo fare qualcosa per abbassare quella spiacevole sensazione (tecnicamente arousal) che mi fa respirare male e sentire oppressione sul petto. C’è chi compra, chi si droga, chi corre, chi beve, e chi…uccide. Non voglio che sia una spiegazione semplicistica, è una parte del fenomeno, sicuramente ce ne sono altre, a me va di sottolineare questa oggi perché a Firenze e in Italia è in atto da molto tempo una distruzione sistematica e capillare del sistema che può produrre cittadini migliori, a partire dall’asilo nido.

La pazzia è questo e nasce da questo. La pazzia nasce da genitori che non tollerano la frustrazione di vedere il proprio figlio che impara a gestire un conflitto con un compagno, o a farsi male e piangere, o che viene rimproverato da un insegnante. La difficoltà sta nelle sfumature, siamo passati da metodi educativi assolutamente discutibili e restrittivi a lassismo totale. Stare nel mezzo è difficile e faticoso, come l’empatia di cui sopra. Ma pare l’unica via possibile perché l’uomo non si auto estingua. E’ chiaro che la consapevolezza costa, è se l’unico obiettivo è riuscire a comprare un Iphone 6s, il problema è molto grosso. Perché successivamente non sarò in grado di gestire quello che mi accade da un punto di vista emotivo.

Sostengo sempre che uno arriva in terapia quando lo spazio sotto al tappeto è esaurito, quando ha una confusione tale che fare ordine non è più rimandabile. Questa è la pazzia dei nostri giorni. Facendo clinica, cioè vedendo i pazienti nel mio studio, ho imparato che quelli “gravi” quelli che hanno bisogno dell’aiuto degli psicofarmaci, sono i meno peggio per così dire, perché riesco ad individuarli e, magari, aiutarli. Il problema siamo noi normali, che coltiviamo, senza saperlo, focolai ben peggiori di malattia mentale, ammantati di consumismo e di benessere solo materiale, che nulla ha a che vedere con quello psicologico. E allora ci rifugiamo in un rassicurante noi/voi. E’ protettivo, faccio un viaggio e due servizi, da un lato appartengo, dall’altro ho un senso a fare contro. Perfetto.

E torniamo al piano della politica, il fu primo ministro italiano, Renzi, costituisce una rappresentazione molto adeguata di tutto questo. E’ arrivato dove è non eletto, facendo le scarpe a quello precedente, urla falsità, che la stampa amplifica, usa lo specchio riflesso quando viene contestato, insomma, non è in relazione. Come tutti noi alla fine quando ci limitiamo al personalismo, quando tutto è riconducibile al mio orto, alla mia sfera personale, nel bene o nel male.

Quando non siamo capaci di riflettere perché siamo diventati permalosi (= narcisisti patologici) e autoriferiti. L’altro non può esistere perché è una minaccia tremenda. E allora si torna all’asfaltare l’altro, se poi la cosa sia metaforica, nella realtà di internet, in una bullata in un gruppo whatsapp, poco importa, quello che conta è l’atteggiamento. Siamo proprio come quell’uomo (inizio del film “la Haine”) che si butta dall’ultimo piano di un palazzo e ad ogni piano si dice: “fino a qui, tutto bene, fino a qui, tutto bene”, ma quello che è importante non è la caduta, è l’atterraggio. Ecco, mi pare proprio che stiamo atterrando.

L’argomento è lungo e complesso da trattare, so che sono stato parziale e sicuramente ho scordato una serie di cose che volevo dire, per esempio il fatto che un genitore scout si lamentasse ad un incontro che non poteva contattare al cellulare il proprio figlio (non mandare tuo figlio/a agli scout se non sei disposto a tollerare di non poterlo sentire per una settimana). Che in realtà è la vera indicazione per noi. Sta a noi genitori sviluppare la consapevolezza, fare fatica, soffrire, sentire e metabolizzare l’ansia, solo così possiamo produrre dei figli, ed una società, migliore.

 

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