“Atteggiamento e prassi della terapia gestaltica” di Claudio Naranjo

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“Atteggiamento e prassi della terapia gestaltica” di Claudio Naranjo

Il libro, mi sembra di capire, che non si proponga come un decalogo, ma come una visione delle cose di qualcuno (l’autore), che ha conosciuto Fritz Perls e ha cercato di tradurre questo iniziatore in qualcosa che fosse più comprensibile ai non addetti ai lavori.

Il libro inizia con una descrizione su come si sia avvicinato Naranjo alla psicoterapia della Gestalt, chiarendo sin da subito quel concetto che ci è stato subito trasmesso, per il quale la Gestalt è, prima di tutto, un certo modo di stare al mondo (nella mia fantasia io avevo tradotto quest’espressione in attitudine).

Nella sua supposta naturalezza la Gestalt assegna al paziente la conduzione del difficile viaggio verso la consapevolezza e la spontaneità, mentre al terapeuta il ruolo di supporter e rinforzatore negativo delle istanze patologiche.

Nel secondo capitolo l’autore nota come oramai ci sia evidenza scientifica che non sono le tecniche a fare la differenza tra una scuola di psicoterapia e l’altra, bensì le persone. Il terapeuta comunque, in qualunque approccio cum-prende, m arrivati ad un certo livello di esperienza le concezioni del rapporto psicoterapeutico ideale, sono sostanzialmente uguali.

Psicoterapia è sentire, non fare superficialmente qualcosa, lo psicoterapeuta è un facilitatore della consapevolezza e della responsabilità, che sono poi gli strumenti fondamentali per arrivare a compiere un “lavoro” vero.

In ogni caso la Gestalt è il primo sistema basato sulla comprensione intuitiva piuttosto che sulla teoria. Ogni forma di psicoterapia ha delle intuizioni verosimilmente, però la Gestalt si oppone in qualche modo alle idee che sono “sui fiori e non sulle radici” , e quindi vanno contro quella responsabilità e consapevolezza di cui parlavamo sopra, uccidendo anche il qui ed ora.

Essere responsabile (capace di risposta), comporta essere presente, essere qui. Ed essere veramente presente significa essere consapevole. La consapevolezza è realtà, che automaticamente (o quasi ndr) ci allontana dall’irresponsabilità con cui viviamo le nostre vite (e ci squarcia anche quel velo di Maia che ci causa tanta sofferenza).

In gestalt, paradossalmente il terapeuta accetta incondizionatamente il malessere, perché il cambiamento avviene sono con la consapevolezza e non grazie al “dover essere”. Nelle manifestazioni indesiderabili del paziente comunque ci sono delle energie che si muovono, comunque c’è della vitalità sotterranea che è importante, ancora di più quando ci ritroviamo a galleggiare nel nostro vuoto.

L’aggressività distrugge, ed in parte è negativa, ma la Gestalt è interessata a farla uscire perché il paziente posa prenderci contatto e assumersene la responsabilità, esserne consapevole, darle un nome.

Le parole chiave sono dunque presenza, consapevolezza, responsabilità che si traducono in ATTEGGIAMENTO, questo si traduce in terapia non come un decalogo, ma come un’esperienza che reca con sé la consapevolezza che è possibile per tutti.

Il terapeuta in realtà non adotta un atteggiamento, ma si disinteressa ai giochi in cui il paziente si attorciglia.

Il processo terapeutico in Gestalt consiste nella trasmissione di un’esperienza . Senza l’atteggiamento adatto le tecniche diventano formule vuote e senza l’esperienza anche l’atteggiamento diventa un qualcosa di posticcio, non sentito.

I tre cardini della terapia di stampo gestaltico sono strettamente interconnessi e imprescindibili l’uno dall’altro. nella dimensione temporale, ad esempio, si richiede al paziente di sentire cosa entra nella sua sfera di consapevolezza al momento presente, perché è su quello che si può auto osservare e lavorare.

I pensieri sul passato e sul futuro sono in realtà una fuga dal presente. In queste due entità si ha una perdita di libertà che ci viene dall’illusione che ci irretisce nella sua ripetizione. Nella vita quotidiana siamo come travolti dal flusso del passato, nella terapia ci ritroviamo ad osservarlo mano a mano sempre di più, fino a non farcene travolgere.

Un modo che il terapeuta ha per aiutare il paziente a restare nel qui ed ora è quello di rispecchiarlo facendogli notare delle cose che fa inconsapevolmente per sfuggire al presente.

Gli sforzi del terapeuta sono indirizzati a minimizzare la consueta alienazione dall’esperienza presente dovuta ad astrazione ed interpretazione (esattamente il contrario di ciò che fanno le libere associazioni nella pratica psicoanalitica).

Nella società occidentale siamo abituati a pensare il presente in chiave edonistica (vivi ogni giorno come se dovesse essere l’ultimo), ma la gratificazione del presente deve essere intrinseca, il presente deve contenere in sé la propria ricompensa. il presente è un impegno di vita ma è libertà: libertà di essere noi stessi, di scegliere in base alle preferenze del nostro essere, di scegliere in base alle preferenze del nostro essere, di scegliere la nostra strada.

Una strategia che troviamo nei casi clinici del libro è quella di “far parlare un sintomo, e poi cambiare grammaticalmente per far stare il paziente in contatto con sé stesso (aggiungerei i, permettergli di portare un po’ di inconscio in figura).

Nella terapia gestaltica la via verso l’auto-sostegno consiste nel prendere la responsabilità delle nostre azioni e omissioni presenti, nell’abbandonare l’armatura della personalità condizionata, in questo momento. il terapeuta e il paziente della Gestalt può utilizzare i blocchi di energia esasperandoli, la nevrosi passa ad essere nevroticità sana.

Un altro tema caldo è quello del presente vs. passato, Perls aveva fatto sua la tecnica del ritorno, ovvero quella del rivivere episodi traumatici del passato, aggiungendo però l’identificazione con l’altro del passato e mettendo un’enfasi particolare sugli aspetti motori della recitazione.

Inoltre non basta usare il significato del passato, rivivere quei momenti in un setting adeguato e con l’aiuto del terapeuta può essere molto più efficace. Nella terapia gestaltica il sogno va vissuto al presente, senza edulcorazioni, proprio alla stregua della consapevolezza che sta all’opposto della comprensione intellettuale, ed è perciò che i sogni verranno sempre narrati in prima persona tempo presente “io sono…” .

Quello che dà una grande potenza ai sogni e al lavoro su essi in terapia è il processo di assimilazione che comporta tale attività. E’ come assumersi la responsabilità del sogno, agirlo fino in fondo, stando in contatto con le proprie sensazioni suscitate da questo “agito”.

A questo punto passiamo agli aspetti transpersonali della Gestalt partendo da un’affermazione di Perls. “senza consapevolezza non c’è nulla, neppure la consapevolezza del nulla”.

in un qualche modo si pone l’accento sulla natura transpersonale della Gestalt, oltre che sul suo lato umanistico. Nel gruppo la gestalt trova la sua espressione potente, vi si può praticare e sperimentare il coraggio e l’autenticità.

in Gestalt abbiamo l’inibizione della concettualizzazione ossessiva, della manipolazione e dei comportamenti non autentici “giochi” .

Sicuramente tutto va bene nella trama della Gestalt, ma un leit motif è senz’altro lo stare, il non fuggire, per quanto difficoltoso e sconcertante possa essere. E’ veramente importante lo stare nell’esperienza, le nostre psicosi derivano da una continua fuga da evitamento. Secondo Perls non accettiamo la sofferenza e ne fuggiamo, e ci costringiamo quindi ad una vita “errante”, mai completamente in contatto né autentica. Secondo Perls il carattere sarebbe “un sistema di risposte fisse obsolete che interferiscono con le funzioni organismiche” .

come psicoterapeuti la cosa più difficile sarà trovare quel punto ZERO, quel punto neutro dal quale siamo capaci di non farci catturare nei giochi del paziente e dal quale riusciamo davvero ad essere terapeutici (indifferenza creativa)

Un altro concetto molto importante espresso da Perls è quello di passaggio dal vuoto sterile al vuoto fertile, per cui il nulla, diventa consapevolezza del nulla.

Il terapeuta transpersonale atavico è lo sciamano, ovvero colui che guida all’esperienza, un artefice della coscienza. il terapeuta gestalt è un po’ sciamano per il suo riuscire a spostarsi in maniera versatile tra i regni sensorio, affettivo, cognitivo, interattivo e immaginifico.

la terapia Gestaltica a volte assomiglia ad un esorcismo, infatti se utilizziamo i termini cari all’analisi transazionale, ci possiamo rendere conto che il persecutore, il genitore, che tanto ci fa soffrire, vuole il nostro bene. Il problema è che lo vuole immediatamente, cosa che è abbastanza impossibile. Quindi da una comprensione maggiore degli scopi del persecutore, la vittima cessa di essere vittima, capendo l’utilità di ciò che le viene detto (che è a fin di bene). Nella realtà non è così immediato o semplice, però rende l’idea.

c’è un potente fil rouge che collega la psicologia della Gestalt alla meditazione, la meditazione tende a cercare l’essenza di se stessi, la psicologia della Gestalt e trovare la consapevolezza di sé, spogliata del carattere. in un’ottica “a cipolla” il carattere sono degli strati esterni che ci permettono di stare-nel-mondo, per arrivare alla consapevolezza di noi stessi, ce ne dobbiamo spogliare. La meditazione però non ha tenuto conto della dimensione dell’azione, della dinamicità, ovvero si è sempre concentrata sulla ricerca della libertà interiore ma non sull’espressione di questa libertà.

Di qui la complementarità tra meditazione e gestalt, la meditazione rappresenta l’attenzione, la gestalt l’espressione.

nella forma migliore di Gestalt si lavora organicamente, si induce la catarsi del passato quando esso emerge nel flusso dell’esperienza, nel continuum di consapevolezza. dentro di noi vi sono nastri di ricordi, ed ognuno di essi porta del dolore. la coazione a ripetere è una cosa a cui siamo legati perché siamo blindati nelle gestalt non chiuse con i nostri genitori. Ed è come se avessimo una forma di inibizione ad amare, che nasce dall’incapacità di perdonare i nostri genitori, terapeuticamente deve avvenire la sepoltura dell’ascia di guerra per poter riiniziare ad amare.

Nell’ultima parte del libro Naranjo si dilunga sulla vicinanza esistente tra Gestalt e meditazione e su degli esercizi praticati con successo da lui e da Perls.

In conclusione mi sento di dire che questo libro è come un Bignami della Gestalt, mi è sembrato di ritrovare quelli che sono i temi fondamentali arricchiti da esempi pratici. Ciò che per me lo ha reso molto scorrevole è stato il sentire l’autore, il sentire chiaramente che si tratta di qualcuno che ha vissuto le esperienze di cui parla.

Non ultimo è il messaggio che per sviluppare consapevolezza, coraggio, umiltà, aiutare un Altro/a a spogliarsi degli strati del carattere e a liberarsi dalle fissazioni e dai “meccanismi obsoleti”, prima è conditio sine qua non passarci noi come terapeuti per primi, e lasciarci attraversare dalle sensazioni ed emozioni che questo ci dà.[:en]il libro mi sembra di capire che non si proponga come un decalogo, ma come una visione delle cose di qualcuno (l’autore), che ha conosciuto Fritz Perls e ha cercato di tradurre questo iniziatore in qualcosa che fosse più comprensibile ai non addetti ai lavori

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